Passi nel silenzio
Si ferma di scatto.
Sopra la sua ombra si abbassa l'ombra delle case e fluttua quella del cielo.
Ci sono, nella notte, le poche stelle che guardano: e quei passi.
Quei passi che rompono il silenzio chiuso intorno a lui: passi di ombra invisibile che picchiano al suo cuore.
Egli camminava in punta di piedi per paura dei propri passi: aveva paura persino del respiro grosso che gli usciva dalla bocca. Ad un tratto avvertì dei passi dietro di sé, lenti, instancabili, persecutori.
Colpi di martello.
Gocce d'acqua. - Si è fermato. Il rumore si ripete, si ripete: risuona per le vie solitarie con monotonia incessante. Le strade sono come le vene della città, piene d'ombra e quel rumore di passi è il loro pulsare.
Ora egli riprende a camminare.
Vorrebbe quasi mettersi a piangere, tanto ha paura e vergogna di se stesso. Trascina nel silenzio la sua giovinezza sciupata: trascina con sé il peso dei suoi peccati e dei suoi rimorsi.
L'ebrezza è svanita di colpo da quando è uscito nella notte e si è sentito tanto colpevole e tanto vile.
Vent'anni: ed è l'ombra di se stesso.
Cammina senza far rumore ascoltando i passi di quello strano ed invisibile nottambulo. Forse d'un vagabondo che non ha trovato posto al ricovero: passi ritmici come movimenti d'orologeria. Massimo cammina più in fretta per non lasciarsi raggiungere: per fuggire l'ossessione di quel rumore.
Gli sembra che non siano passi d'uomo: che qualcuno lo accompagni che non vesta carne ed abiti d'uomo. Ha la vaga idea che questa notte sia la sintesi di tutta la sua vita.
Cos'è stata finora la sua vita? Notte: notte continua, con sola luce i lumini delle Madonne ai crocicchi. Ed egli vi ha camminato senza fede e senza speranza, trascinandosi il peso del suo peccato, ombra di se stesso.
Ed ha sempre sentito, di questo è sicuro d'una sicurezza impressionante, ha sempre sentito questi passi d'ombra invisibile: una presenza misteriosa che lo ha seguito continuando nel suo cammino.
Dovunque fosse: una presenza incessante intorno alla sua anima, a cui non ha dato mai un nome. Ha sempre avuto paura di chiamarla semplicemente Dio: di voltarsi e correre incontro a questo mistero che forse aveva in sé tutta la luce della sua vita.
Come ora, che vorrebbe voltarsi e rifare la strada all'indietro per incontrare quell'ombra che potrebbe anche avere con sé una lanterna per rischiarare, e fare la strada insieme.
Ma ha paura: fugge. Ha paura di mostrarsi così, sconciato dal vizio. Come ha avuto sempre paura di correre incontro a Dio, di conoscere la presenza misteriosa, che ha avvolto la sua anima di rimorsi e fare insieme la strada della vita. Ma Dio lo ha sempre seguito: non gli ha parlato perché voleva forse
Soltanto farsi sentire. Massimo ha sempre sentito il soprannaturale, anche quando il fango gli tappava gli occhi con groppi più tenaci.
Ma non ha mai potuto vedere: sempre negli occhi la putredine di Lazzaro nel sepolcro gli impediva di aprire l'anima alla contemplazione dell'Infinito ed all'amore di Dio. Nella vita è stato finora proprio come Lazzaro nel suo sepolcro: eppure ha sentito sempre, fuori del sepolcro, la presenza del Resuscitatore.
Gesù forse aspettava che egli stesso gli chiedesse la vita e la visione.
Massimo è sempre fuggito: ha continuato la sua strada nella notte, sordo al richiamo dei passi stanchi ed instancabili.
Perché per correre incontro alla Luce, bisogna voltar le spalle a ciò che si ama.
Massimo ha sentito nella notte un vibrare di voci come se molti uniti insieme pregassero. La cantilena dolcemente monotona delle preghiere dette in comune.
Qui, all'angolo, c'è una porta aperta: una chiesa.
Ancora si prega, di notte? Di notte ancora sono aperte le chiese?
La porta è aperta: se entrasse?
«Non minacciano: non mi possono cacciare».
Sosta un attimo, indeciso, sulla soglia.
Le voci si sono fatte più vicine: sente anche profumi d'incensi che gli alitano in viso.
Si fa coraggio ed entra adagio adagio, in punta di piedi come se avesse paura di farsi troppo notare.
L'altare è illuminato a giorno: v'è in alto, tra i ceri ed i fiori, un tempietto d'oro in cui è sospesa una cosa bianca ed immacolata.
Ed ai piedi dell'altare, inginocchiati nelle panche, dei giovani, giovani come lui ed anche più di lui, stanno immoti in adorazione.
Volti radiosi di adolescenti: facce dure di giovani provati: sconforti, promesse, preghiere. Hanno le mani giunte come, nei presepi, i pastorelli presso la stalla di Gesù.
Massimo si guarda le mani lisce, curate, le braccia ciondoloni lungo il corpo magro: la persona ben vestita. Si osserva con pietà. Ha compassione di sé.
All'entrare in questa vecchia chiesa, il primo sentimento lo ha preso, è una malinconia che gli stringe il cuore. Vorrebbe che le sue ginocchia avessero tanta forza da potersi piegare davanti a quel Pane che non è pane, come quelle dei giovani adoratori: che le sue mani avessero tanta forza da giungersi: che i suoi occhi si fissassero nel Dio vivente. Quello di cui ha sentito sempre la presenza intorno a sé senza saperla invocare, che lo ha sempre seguito nella sua notte con amore instancabile.
Perché non lo può?
Sente che sarebbe tanto semplice inginocchiarsi e credere e pregare: come quei giovani che mentre egli trascinava nel silenzio la sua colpa grave come una grossa pietra, pregavano.
E forse i passi nell'ombra erano le sommesse preghiere di questi giovani, di altri, che lo seguivano e lo chiamavano con insistenza, quasi lo ossessionavano di richiami.
Le preghiere di tutti i credenti, il sacrificio di tutti i martiri, l'amore di Cristo presente sul mondo e nella sua anima: tutto ciò era in quei richiami.
E perché non ascoltare?
Perché tapparsi le orecchie e fuggire?
Forse perché la pietra del suo sepolcro era pesante a smuoversi ed egli doveva rinnegare tutto il suo passato?
Anni di tormento: e capire soltanto ora d'avere sbagliato, d'aver camminato per vie lontane, d'avere ascoltato altri richiami ed altre voci!
Non importa: anche fra quei giovani qualcuno
avrà dovuto rinnegare un passato.
Che importa il passato?
Ciò che non è più, ora non ci può giovare. Oggi la vita non è quella di ieri, il mondo non è quello di ieri, vizio il cuore non è quello di ieri: tutto scorre, come l'acqua in un fiume.
E' tanto semplice credere e pregare!
Massimo lo sente: la sua anima vibra di passione in quest'ora decisiva; ma il suo cuore è pronto.
Egli si inginocchia sul nudo pavimento: gli sembra d'inginocchiarsi sul suo passato rinnegato e distrutto.
La preghiera rifiorisce sulle sue labbra che il ha inaridite.
Domani rifiorirà la vita della grazia nel suo cuore sacrificato.
Gianni Rodari - 6 settembre 1936
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