mercoledì 3 febbraio 2010

Gianni Rodari - Forza d'amore


A. Racconti e novelle di Gianni Rodari su «L'Azione Giovanile». Settimanale della Federazione Diocesana Milanese della Gioventù Italiana di Azione Cattolica.

Forza d'amore

Un omettino giallo e brutto. Cammina male. Tutto cappello e pastrano. Scende lentamente le scale interminabili e ripide: entra ne la via, rumorosa benché sia di mattina. Ma c'è il carretto del lattaio, il carretto del mugnaio, il carretto del panettiere. E c'è le vecchine che vanno a Messa con il velo in capo strascicando le ciabatte Da tutti i campanili della città le campane si chiamano e si rispondono.
Egli cammina assai lento a ridosso dei muri vecchi dai colori sbiaditi. Conosce tutti gli scrostamenti dei vecchi muri. Sa tutti i buchi che i monelli di due tre generazioni vi han fatto. E le parole che vi han scritte. E tutto egli sa dei vecchi muri. Da vent'anni fa questa strada, ogni mattina. Ha strisciato contro questi vecchi muri trecento giorni l'anno, quattro volte il giorno. Ed ha cambiato solo una volta il pastrano, proprio perché era tutto mende e sfilaccia. E stamattina ancora, come sempre, guarda il marciapiede consunto e le finestre chiuse. Si dondola su le gambe storte, pensoso. Stamattina e sempre.

Entra in una chiesa. Vecchine e donnette inginocchiate per le panche e un prete che dice Messa. Egli si fa il segno della Croce, restando in fondo. Sente lo squillo di campanello del Sanctus. S'inginocchia. Perché egli crede e non si sente forte che quando è in ginocchio.

Venti anni fa, pensava ancora a lottare per farsi un nome, abbacinato da un sogno di gloria. Ha scritto molte cose ed era pieno di sé. È stato abbattuto e non gli è restata che la Croce di Cristo. Quella che sorge consolatrice da tutte le rovine spirituali. Quella che ha sempre le braccia aperte.

Allora s'è rinchiuso in un ufficio, non ha pensato più che a sua madre, vecchia povera donna ignorante che ha pianto e pregato per lui quando la chimera lo teneva lontano lontano. Ha trovato nei meandri del suo cuore turbolento la pace e la fede, come si trova sempre nello squallore autunnale una foglia verde che trema.
Ora è i1 in ginocchio.
E' squillato il campanello dell'Elevazione. Ora egli deve andare al lavoro perché si fa molto tardi. S'alza. Esce.

A casa sua madre dormiva quando partì. Egli non ha voluto destarla e s'è fatto il caffè, così, semplice¬mente, sorridendo. E sua madre sorrideva nel so¬gno. Non ha voluto destarla. Ed essa dormiva nel grande letto matrimoniale, vecchio di quattro generazioni.
Esce ne la via di nuovo. Striscia contro i muri e trova la porta del suo ufficio. Una porticina verniciata da poco, in un angolo silenzioso: un angolo da ar¬chivio. Egli spinge con un sospiro la porta che s'apre taciturnamente. Entra. Richiude. V'è di già un uomo al lavoro. Alza un poco la testa per osserva¬re il nuovo venuto.
«Buon giorno!».
«Buon giorno».
Egli si leva il pastrano e l'appende ad un chiodo del muro: un chiodo vecchio vecchio.
Siede. Non s'ode per poco che la corsa delle due penne sui fogli bianchi ed il fruscio dei fogli.
Sta copiando un libro che uscirà fra poco e l'autore non ha tempo di copiare.
Ma ci sono due copisti ch'han l'ufficio e lo studio in un angolo buio da archivio.
Egli scrive e scrive distendendo lunghi sogni biz¬zarri di righe nere sul foglio bianco. Con una furia frenetica. Senza badare allo scipito contenuto del li¬bro. Pensa al suo avvilimento, al suo sogno di gloria vanito nel turbine della vita. Ha un interno moto di ribellione.
Ma ecco: si ricorda di sua madre. Si calma. Sorride.
Ora la penna scorre leggera come un volo d'om¬bra ed egli ha l'impressione di scrivere pagine d'oro
sul libro della sua vita. Sa di valere più d'un giorno, quando i suoi articoli filosofici scatenavano polemiche e discussioni: e sua madre piangeva.
Ora essa dorme contenta nel gran letto degli avi. Dorme ancora, non si desta. E pure è già squillato il segnale della seconda Messa! Ella dorme e sorride ancora.
Ecco che l'altro impiegato ha deposto la penna. È stanco. Va alla finestra sbuffando.
Ma egli lavora e non s'alza. Sa che l'altro non ha più una madre che gli stia nei pensieri come una lampada di consolazione. Sa che l'altro è solo e non ha Gesù cui sorridere nel lavoro per averne un poco di forza: solo un poco da arrivare a mezzodì. Egli ha Gesù e sua madre: di più non può desiderare.
«Non siete stufo di questa vitaccia?».
Risponde dolcemente: «No».
«Siete peggio d'una macchina: ecco cosa siete!» E sbuffa.
Risponde dolcemente «Sì». Ma non alza il capo dal lavoro.
La penna scorre sul foglio bianco, leggera come il respiro d'un bimbo.
Come il respiro della madre che dorme nel torpore d'una mattinata invernale. E pure è l'ora che le don¬ne vanno per le compere. Ella dorme ancora.
Egli pensa: «E se anche a me morisse, come a lui?». Ha un brivido di spavento.
Pensa: «Oh! Tanto, poco ha da vivere ancora. Dalla mia vita non posso più spremere che amore: il resto tutto l'ho spremuto. Morrei con lei ed anche sotterra le terrei compagnia».
Pensa: «Le mamme non muoiono mica: anche sot¬terra si ricordano d'aver dei figliuoli che bisogna sostenere nel turbine con la grande forza d'amore».
Pensa: «E poi ho Gesù. Gli posso domandare, gli posso chiedere di morire».
E di nuovo la penna è leggera come una piuma d'angelo.
Come le palpebre della madre, chiuse nel sonno che non ha fine.

Gianni Rodari 3 maggio 1936

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